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La dislessia evolutiva e i suoi trattamenti di S. Lupo in libreria dal 2 aprile

copertina-dislessia-evolutivaxsitoLa dislessia evolutiva e i suoi trattamenti. Manuale per insegnanti, genitori e operatori è il nuovo libro di Sebastiano Lupo in libreria dal 2 aprile nella Collana Strumenti e passa in rassegna tutte le problematiche relative alla Dislessia evolutiva senza risparmiare critiche  all’impianto della Legge 170/2010  meglio conosciuta come legge sulla dislessia.



Una definizione di Dislessia Evolutiva viene fornita da Tre istituti, tra i più rappresentativi nel panorama internazionale, il National Institute of Child Health (NICH), l’International Dyslexia Association (IDA) e l’European Dyslexia Association (EDA), i quali concordano nel definire la Dislessia Evolutiva (DE) come “una disabilità specifica dell’apprendimento di origine neurobiologica. Essa è caratterizzata dalla difficoltà nell’effettuare una lettura accurata e/o fluente e da abilità scadenti nella scrittura e nella decodifica. Queste difficoltà tipicamente derivano da un deficit nella componente fonologica del linguaggio che è spesso inattesa in rapporto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica della lettura che può impedire la crescita del vocabolario e delle conoscenze generali”.
Spesso altre forme cliniche si associano alla dislessia evolutiva, infatti raramente la DE si presenta nella forma pura; molto spesso essa è associata ad altri disturbi, dunque in comorbidità (disortografia, diascalculia, disprassia della scrittura, ansia, depressione, disturbi oppositivo-provocatori, ADHD, disturbi del comportamento, ecc.).
In misura e gradi diversi la dislessia si accompagna a disturbi della sfera emotivo-relazionale e del comportamento, sicché molto spesso questi vengono erroneamente considerati le cause della difficoltà nella decodifica della parola scritta.
Il bambino dislessico è svogliato, apparentemente privo di motivazione allo studio, utilizza tecniche di coping disfunzionali quali la disattenzione, la scarsa partecipazione, l’evitamento, che ben presto si circolarizzano e divengono abitus comportamentale corrente.


In Italia il dibattito attorno alla complessa problematica della dislessia evolutiva ha ricevuto un impulso notevole con l’emanazione, da parte del Parlamento Italiano, della Legge n. 170 del 10 ottobre 2010 sul riconoscimento dei DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento Scolastico) da parte delle istituzioni scolastiche a tutti i livelli. La nuova normativa, meglio conosciuta come legge sulla dislessia, ha introdotto due principi fondamentali, che declinano il diritto allo studio per i soggetti colpiti dal disturbo di lettura: il riconoscimento formale del disturbo, che può arrecare gravi ed irreparabili conseguenze alla crescita scolastica ed umana e il diritto a un trattamento pedagogico-didattico differenziato, nell’ambito della scolarizzazione di base primaria e secondaria. La riabilitazione neurocognitiva non viene però menzionata.
Perché non si è inteso affidare alle medesime strutture pubbliche del S.S.N.
anche l’obbligo dei programmi di riabilitazione? Perché si è affidato, ancora una volta, alla scuola italiana un compito e una funzione che non le sono propri? Perché s’è fatta una legge a costo zero?
LUPO1L’autore muove una critica serrata all’impianto della Legge 170/2010 su tre precise direttrici giuridico-legali, epistemologiche e metodologiche. L’impianto pubblicistico, che riserva ai soli professionisti in servizio al S.S.N. la potestà certificatrice ai fini giuridici-scolastici, sta creando non pochi disservizi (cfr. Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013 in tema di BES Bisogni Educativi Speciali) e disparità di trattamento a livello territoriale. Sul versante epistemologico l’autore ritiene scientificamente discutibile la scelta di spostare il baricentro dall’ambito clinico a quello educativo, che ritiene risponda più all’esigenza di economizzare risorse nel S.S.N. che a una efficace direttiva scientifica-metodologica. L’ultima critica riguarda il privilegio accordato agli strumenti compensativi, di cui afferma la validità terapeutica ma all’interno di un programma di trattamento riabilitativo il cui focus dovrebbe essere la riabilitazione neuropsicologica.


Il libro si declina in sei capitoli.
Il primo capitolo tratta dei principi fondamentali, con particolare riferimento al lungo dibattito scientifico che ha portato la neuropsicologia dell’età evolutiva ad affermare il carattere neurobiologico del disturbo. Vengono presentati gli aspetti epidemiologici, genetici e le evidenze neuroanatominche e neurofunzionali.
Nel secondo vengono trattate le diverse teorie eziologiche e viene illustrata una recentissima ricerca, tutta italiana, che accredita l’ipotesi della multifattorialità.
Il terzo capitolo è dedicato ai modelli esplicativi, e vengono ripresentati, sotto veste nuova, i modelli neuropsicologici e neuropsicofisiologici: il modello a doppia via di Coltheart, il modello a doppia via standard di Sartori, il balance-model di Bakker, il modello componenziale di Struiksma e il modello evolutivo di Frith.
Il quarto capitolo affronta dettagliatamente le problematiche della diagnosi, soffermandosi sulle Raccomandazioni della Consensus Conference, sugli strumenti di valutazione, sulla diagnosi a fini nosografici e funzionali.
Il quinto capitolo tratta dei trattamenti riabilitativi, con particolare attenzione al trattamento lessicale e sub-lessicale e alla stimolazione emisfero-specifica secondo la visione di Bakker.
Conclude il libro il sesto capitolo dedicato al confronto fra i diversi tipi di trattamento secondo le linee dell’EBM Evidence Based Medecine.


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Redazione

La recensione di Videogiochiamo a scuola, l'ultimo libro di Luca Pizzonia

videogiochiamo a scuola x sitoVideogiochiamo a scuola, nella collana Strumenti di Edizioni Psiconline, è l'ultimo lavoro di Luca Pizzonia e vuole essere una guida all'utilizzo dei videogiochi e delle simulazioni per migliorare le modalità di insegnamento e apprendimento.


Giocare a scuola: sembrerebbe, a primo colpo, una contraddizione, quasi un ossimoro. Se poi si pensa al videogioco tra i banchi degli edifici scolastici, non si può non pensare a bambini o adolescenti, che, annoiati dalla solita lezione alla lavagna, cercano qualcosa di divertente da fare, ludico, ricreativo sì, ma anche deviante e deleterio per la concentrazione e lo studio. Figurarsi, quindi, quanto esso possa essere distante dall’apprendimento.

Eppure, secondo Luca Pizzonia, sta proprio qui lo snodo per un apprendimento “nuovo” ed efficace, un apprendimento attivo, che incuriosisce ed arricchisce di un sapere consapevole: esplorare, cercare, catturare (nel vero senso della parola), le caratteristiche, le dinamiche, le cause e tutto ciò che è insito nell’argomento da focalizzare.

L’autore, infatti, apre tutta la sua dissertazione con una spiegazione più che esaustiva su cosa sia, in concreto, l’apprendimento e ne introduce due modalità essenziali: quella percettivo-motoria, che sarebbe la tipologia più antica ed abitudinaria, contrapposta a quella simbolico-ricostruttiva, ovvero quella più recente e più proficua. È proprio quest’ultima, che, grazie al coinvolgimento diretto del soggetto, non solo riesce a fargli comprendere passo per passo l’essenza del fenomeno in analisi, ma lo guida anche ad una manipolazione pratica di quello che sta imparando, grazie alla tecnica della simulazione. Essendo il videogioco lo strumento principale che si serve di quest’ultima, nonché il canale comunicativo prediletto da bambini ed adolescenti, non resta che integrare questa risorsa con le attività didattiche tipiche del programma scolastico.

L’efficacia di questa ipotesi, sviluppata da Luca Pizzonia lungo tutto il discorso, viene gradualmente esplicata e confermata attraverso l’apporto di teorie, testimonianze e studi di altri colleghi, che ne hanno constatato gli effetti positivi a lungo termine. Non solo: egli dedica l’ultima parte ad un elenco di videogiochi concretamente presenti ed utilizzabili e, non da ultimo, cita, quale esempio a lui più vicino, proprio il software Sopravvivere, una simulazione creata da egli stesso.

Pizzonia affronta un tema sicuramente interessante, ma altrettanto vasto e giovane. Questo libro, quindi, può essere visto come una prima guida sulle tipologie presenti e da usare, tenendo presente, però, che restano alcune tematiche da approfondire: le modalità con le quali approcciarsi e sfruttare questa metodica, per esempio; la classificazione in base ai destinatari (adolescenti o bambini), oppure in base alle abilità richieste; infine, la gestibilità di tale tecnica con bambini e ragazzi che presentano una disabilità mentale.

Videogiochiamo a scuola è, comunque, una lettura altamente istruttiva e stimolante, ricca di esempi concreti, attraverso i quali avere un riscontro della teoria che sottostà a tutto il libro: l’apprendimento migliore è quello attivo, una delle sue modalità più efficaci consiste nella simulazione e la sua forma più  idonea per la scuola (e l’istruzione in generale) è il videogioco perché “I videogiochi permettono di provare e riprovare, apparentemente solo per arrivare alla conclusione della partita. Ma questa iteratività porta con sé anche il graduale miglioramento dei propri gesti, il piacere derivante dall’accettare una sfida e dall’esercizio pratico (meglio se di difficoltà crescente in maniera graduale), ossia un apprendimento per prove ed errori.” (pag. 36) e “Questi software mettono a disposizione un ambiente nel quale esercitare la classica curiosità infantile, attraverso divertenti percorsi che facilitano lo sviluppo di abilità cognitive. I bambini non si stancano di tentare differenti strategie, perché la loro esplorazione dei programmi ha lo scopo di scoprirne tutti i trucchi, arrivando ad un apprendimento più qualitativo e meno mnemonico.” (pag. 37).

 

a cura della Dott.ssa Alice Fusella


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