La Giuria ha così motivato l'assegnazione del premio: "Scritto da addetti ai lavori, il testo costituisce un contributo importante di sintesi scientifica su un aspetto medico comportamentale complesso e dalle sensibili ripercussioni sociali: la psicopatologia del delirio.
Dall'esaustivo inquadramento teorico alla ricerca sul campo alla sperimentazione di operatività cliniche, il tema trattato non appare mai disgiunto dalla consapevolezza che anche dietro l'analisi scientifica più rigorosa, ci sono gli uomini e le loro esperienze".
Abbiamo colto l'occasione per intervistare l'autore Enrico Magni su diversi temi.
D. Prima di iniziare la nostra intervista ci complimentiamo per il successo che ha avuto e che ritieniamo sia davvero meritato. Ma veniamo al libro vincitore del Premio: com’è nata l’idea di relaizzare un testo così complesso come Delirio?
R. L’idea del testo è il frutto a posteriori di un lungo lavoro clinico durato anni. La stesura del testo è stata difficoltosa, è stata sottoposta a una serie di controlli. In origine il materiale, costituito da migliaia di schede di rilevazioni, sarebbe servito per un “classificatore” psicolinguistico che permettesse di comparare migliaia di pagine scritte da alcuni pazienti deliranti in un database.
Poi, lentamente è scaturita l’idea di dare forma a questo patrimonio clinico, è nata l’esigenza di concettualizzare il materiale.
La presenza dell’ex tirocinante - specializzando in psicoterapia - Scaccabarozzi (coautore) è servita come stimolo a elaborare un testo che fosse didattico e formativo.
L’attività clinica di base, che è considerata routinaria, produce una quantità di materiale clinico che andrebbe classificato, studiato e concettualizzato.
D. Quanto tempo ha impiegato per la stesura?
R. La stesura è stata una lunga faticosa camminata di montagna fatta di vari scenari. Ci sono voluti cinque/sei anni prima di trovare il format da presentare all’editore. È stato un lavoro impegnativo, difficoltoso. Non è stato facile scoprire una struttura testuale che fosse accessibile e commerciale. Il testo è ancora un po’ ostico, però si comprende, è leggibile, il linguaggio del delirio è affascinante.
D. Qual è lo scopo di questo lavoro?
R. Lo scopo è stato quello di trovare un mediatore (testo), che uscisse dall’ambito della riflessione clinica all’interno della malattia (ospedale) tra gli addetti, che potesse veicolare questo argomento (delirio) considerato incomprensibile.
Lo scopo è di spolverare, pulire le incrostature della “statua delirio” dall’angoscia, dall’incomprensione, far comprendere che il delirio è una narrazione soggettiva del mondo, far scoprire come si compone il linguaggio del delirante.
D. Il significato del titolo: Composizione e scomposizione del pensiero delirante.
R. Il titolo racchiude in sé l’oggetto studiato. Il delirio è un narrato, è un costrutto verbale o scritto, è il come, una persona legge e percepisce la realtà.
Dalla tradizione orale del pensiero classico alla scoperta della stampa di Johannes Gensfleisch della corte di Gutenberg, ci si è accorti che il narrato è un costrutto che segue delle “leggi” che permettono la comunicazione: così è il linguaggio del delirante.
Per comprenderlo, andando oltre il metodo interpretativo, è necessario scoprire le “leggi” che reggono l’impalcatura, fatto questo, si può scomporre e ricomporre.
È come il rotolo di lana che si srotola e poi si arrotola.
D. Il delirio è qualcosa di affascinante anche per i non addetti ai lavori come definirebbe il delirio?
R. È affascinante è come un testo poetico. L’Odissea, la Divina Commedia non sono dei testi razionali, però sono letti, interpretati, decantati. Il delirio è avvolto dal magico, dal deformante irrazionale che narra la realtà odierna.
Leggere la pagina di un delirante è come incontrarsi con le sirenette di Ulisse. La società iper realista e iper razionale considera il pensiero delirante fuori dalla realtà.
Forse non è un atto delirante andare a sfidare lo slot-machine o bussare alla porta della maga o chiedere un aiuto a una statua?
Questo testo permette di conoscere meglio una parte del ‘nostro ragionare’ che consideriamo razionale e scientifico, eppure non lo è.
D. È possibile rendere il delirio meno spaventoso, per escludere la possibilità di emarginazione dei pazienti psichiatrici?
R. Sì. In ambito clinico, quando un paziente delirante comunica il suo delirio, è subito messo in terapia con farmaci antipsicotici.
Se si considera il delirio, un evento comunicativo allora è possibile mettersi in relazione, decifrare il messaggio e comunicare con il delirante. Non è facile ma è possibile.
Bisogna imparare dai poeti, ascoltare se stessi quando si dialoga con i propri fantasmi, leggere i sogni.
D. A chi consiglierebbe la lettura di Delirio?
R. In prima battuta lo consiglierei a tutti i curiosi che desiderano conoscere come si compone il pensiero.
Scendo per terra. Saremmo contenti e soddisfatti se fosse letto almeno da persone che operano nei vari settori del disagio esistenziale.
D. Delirio si è aggiudicato il Premio dell'Editoria Abruzzese sezione saggistica di autore non abruzzese, lei pensa che i premi letterari possano influire nell’avvicinare le persone alla lettura?
R. Per prima cosa ce lo auguriamo per l’editore che è stato il primo a investire su un prodotto non facile per il mercato librario. Se prendessimo come esempio i premi nazionali letterari, la risposta è sì.
Per l’autore, in questo caso, è già un successo aver trovato un editore.
Il premio è un mezzo utile per far conoscere il libro e i testi poco commerciali.
D. Si aspettava che un testo così complesso e forse non proprio alla portata di tutti che tratta un tema come il delirio, potesse incontrare il favore della giuria di un premio?
R. Un testo di questa natura, così poco appetibile, difficile da trovare sul tavolo o sullo scaffale di un libraio, in un supermercato, sorride, è riconoscente di aver incontrato questa giuria.
È un colpo di…fortuna.
Mi auguro, ci auguriamo che questa segnalazione possa essere da stimolo e di richiamo.
Un premio editoriale può solo far del bene al testo, all’editore e incoraggiare gli autori a continuare a scrivere e studiare.
Ben venga questa giuria per il suo coraggio.
D. Vorrebbe dire qualcosa alla giuria e poi al suo editore?
R. Diciamo grazie per il riconoscimento, ci gratifica, ma noi siamo soddisfatti per l’editore, è stato fondamentale, senza di lui noi non saremmo stati premiati.
Il lavoro dell’autore è quello di cercare il quid nascosto che sta sotto la cenere, quello dell’editore è di scoprire autori, testi e misurarsi con il mercato.
Siamo convinti che questo premio stimolerà ulteriormente l’editore, i suoi collaboratori a continuare questa impresa titanica.
Ci auguriamo che il premio sia di auspicio per la conoscenza dell’argomento.
D. Enrico Magni scrittore e poi lettore... quale genere preferisce, da chi si sente ispirato, quali sono i suoi autori romanzi, saggi ecc. preferiti?
R. Sono un buon lettore. Leggo saggi vari: psicologia generale, neuroscienze, antropologia, filosofia, biologia, fisica, economia, sociologia, politica. Mi piace la letteratura, la poesia.
Leggo tutto ciò che mi stimola. Ho riletto ultimamente con piacere dei classici: Italo Svevo, Fëdor Michajlovič Dostoevskij ed Elias Canetti.
D. A cosa non può rinunciare quando scrive? E quali sono le sue abitudini quando scrive?
R. Scrivo in silenzio, qualche volta ascolto Chopin, musica classica o jazz: passo ore, ore a scrivere. Scrivere un saggio necessita una certa impostazione razionale perché bisogna trovare dati e confrontarsi con varie fonti; scrivere un romanzo richiede un approccio più emozionale con i personaggi che s’incontrano, ti trascinano.
L’articolo è il prodotto dell’analisi interpretativa di un fatto.
La scrittura si modula in funzione dell’oggetto, non è lineare, è dinamica e richiede regole per i singoli contesti.
Una cosa è certa, si scrive solo quello che si conosce: per esempio, mi piace la fisica ma non potrei mai scrivere della materia, di come si muovono i neutrini, non la possiedo.
Grazie, buon lavoro alla redazione di Psiconline e all’editore.
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