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Intervista a Luca Paolo Libanora autore di "Trovare lavoro e vivere per sempre felici" dal Modena BUK 2014

Sabato 22 febbraio al Modena BUK 2014, Luca Paolo Libanora, ha presentato il suo  "Trovare lavoro e vivere per sempre felici" .


[caption id="attachment_2637" align="alignleft" width="300"]FIRMALIBRO con Luca Paolo Libanora Luca Paolo Libanora "Trovare lavoro e vivere per sempre felici"

Salone affollatissimo, pubblico in fermento, l'argomento trattato è sicuramente di attualità, molto, molto sentito e vissuto da molti presenti in sala, che già prima dell'inizio si sono avvicinati curiosi a sbirciare un po' tra le righe del volume cercando qualche spunto per il dibattito, alcuni l'avevano già comprato.



Una breve introduzione del nostro autore è dovuta: Libanora è psicologo e imprenditore, si occupa di clinica, formazione aziendale nell'ambito delle risorse umane ha dedicato parte della sua formazione agli aspetti collegati all'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ha creato modelli di intervento nell'ambito del recluting e della selezione del personale.


Il mondo del lavoro è cambiato rapidamente riscrivendo le regole di ricerca di occupazione, i canali informali che sono difficile da intercettare.
Le offerte di lavoro, sempre meno vengono veicolate per i canali tradizionali perdendosi attraverso tanti canali informali che sono difficili da intercettare.
Il libro suggerisce come sfruttare i canali meno conosciuti per orientare in modo vantaggioso la propria ricerca consentendo a chi si appresta ad offrire la sua candidatura una quantità enorme di informazioni che può sfruttare a proprio vantaggio. Vengono inoltre toccati aspetti difficilmente trattati nella letteratura specialistica su come affrontare l'ingresso lavorativo, creare legami stabili con colleghi e superiori per essere in grado di superare le normali difficoltà.
Nei primi capitoli vengono riportati principi guida per orientarsi nell'attuale mercato del lavoro, come e dove cercare, come proporsi alle aziende e come affrontare il colloquio di selezione, come conoscere i trucchi per saper prevedere le mosse dell'avversario (il reclutatore) insomma imparare a capire che tipo di azienda è, cosa cerca cosa si aspetta dal  candidato lavoratore.
Una sezione molto curata è dedicata alla guida alla stesura del cv della lettera di presentazione e soprattutto la guida al colloquio. Consigli per vincere l'ansia ed affrontare al meglio il colloquio imparando a non commettere gli errori tipici di chi cerca lavoro.
Per finire: "Cogliere le opportunità dalla crisi" Cinque storie di chi l'ha fatto e un'utilissima appendice con modelli di cv lettera di presentazione, domande consuete nell'intervista di selezione.
Ma a questo punto è meglio dare la parola a Luca Paolo Libanora.


D. Perché ha sentito l'esigenza di scrivere questo libro?
R. La storia di questo libro è un po’ la sintesi dei passaggi della mia attività professionale: sin da quando mi è stato chiesto di dedicarmi al sostegno psicologico di persone che vivono la difficoltà della mancanza di lavoro, mi sono reso conto che un supporto terapeutico non era la risposta migliore per persone che vivevano spesso un dramma personale e familiare, oltre che economico. Insomma è necessario dare alle persone risposte pratiche: aiutarle a rientrare nel mercato del lavoro e sicuramente fornire loro strumenti efficaci che consentano di riformulare un progetto di vita. Spesso, infatti, molti vedendo appassire i loro progetti lavorativi temono di non avere più un futuro personale. Oppure i più giovani non riescono neppure a formulare un futuro lavorativo e di vita faticando a muoversi nell’incertezza del mercato del lavoro, della formazione formale e delle scelte che devono fare. La consapevolezza che il corso degli eventi può invertirsi è un processo terapeutico più efficace di qualunque altro.
Così, abbiamo iniziato ad inserire in tutte le attività (formazione, bilancio delle competenze, orientamento professionale…) dei training per insegnare a orientarsi efficacemente nel mercato del lavoro, conoscendone tutte le dinamiche, i canali meno conosciuti, i processi di recruiting e selezione. Insegniamo a rintracciare le opportunità, a sfruttare le debolezze di reclutatori non particolarmente competenti, ad affrontare i colloqui di selezione... Inizialmente abbiamo creato una piccola dispensa per fornire un supporto cartaceo che, anche su consiglio degli stessi corsisti, si è mano a mano arricchito di contenuti e strumenti. Il libro, pertanto, riporta i contenuti del training che ha consentito a molte persone, e consente tutt’ora, di ottenere un’occupazione coerente con le loro aspettative di vita proprio sfruttando le criticità del mercato del lavoro.


D. Quali sono le novità del suo libro rispetto ai manuali di consigli e dritte per cercare un lavoro?
R. Nel redigerlo abbiamo seguito due principi, proprio perché abbiamo voluto che rappresentasse una novità: il primo è quello di fare in modo che il lettore riesca a porsi dall’altra parte della barricata, vale a dire dalla parte di chi gestisce il processo di reclutamento e selezione, di chi ha – in pratica – lo scettro per decidere se accettare o meno una candidatura in base alle caratteristiche del candidato e della mansione da ricoprire. Questo per farne comprendere gli aspetti più intriganti e potersi orientare anche sfruttando le debolezze ed i paradossi del sistema. Sin dall’inizio, infatti, abbiamo scelto di non andare “a testa bassa” contro i meccanismi talvolta paradossali del mercato ma, al contrario, di studiarli e sfruttarli a vantaggio di chi cerca un’occupazione. Nella maggior parte dei casi, infatti, la selezione del personale viene svolta da persone che non hanno competenze e formazione specifiche e pertanto si affidano a meccanismi stereotipici ed emotivi che possono essere facilmente aggirati, conoscendoli. Quindi la novità sostanziale è quella di svelare un po’ i “trucchi del mestiere”. La seconda novità risiede proprio nel fatto che abbiamo cercato di inserire elementi originali, cioè che non derivano da letteratura più o meno specialistica, ma dall’esperienza quotidiana del nostro lavoro e dall’osservazione dei meccanismi e le dinamiche più implicite delle organizzazioni e delle aziende.
L’idea stessa del libro, comunque, pensiamo sia innovativa: il fatto di pensare all’incontro domanda-offerta come un matrimonio (da qui il titolo, e la prima copertina della dispensa auto-prodotta) illustra bene la visione che ribalta l’idea che tutti hanno del fatto che “vince il candidato migliore”. Non è così: tutti noi possiamo essere attratti da un uomo o una donna affascinanti ma poi finiamo per sposare non chi ci ha inizialmente sedotto, ma chi è riuscito anche a persuaderci che era il “candidato” più coerente con le nostre aspettative di chi dovrà condividere la nostra vita. Le persone, quando cercano lavoro, sono troppo preoccupate di sedurre i loro valutatori e troppo poco di persuaderli. Si aspettano così “proposte di matrimonio” che inevitabilmente non arrivano, semplicemente (ad esempio) rendendo attraente il loro c.v. Poi, se le persone non si conoscono bene, i matrimoni sono purtroppo destinati a fallire, esattamente come i rapporti di lavoro, causando sofferenze in entrambi i casi…




[caption id="attachment_2660" align="alignright" width="200"]La copertina del volume La copertina del volume

D. È cambiata la tipologia di chi oggi cerca un lavoro rispetto ad esempio a 15-20 anni fa? Chi si mette oggi alla ricerca di un lavoro conosce meglio la realtà circostante, il mondo del lavoro, è più preparato rispetto a chi lo cercava 15-20 anni fa o al contrario è disorientato e non sa bene come cercare e dove cercare?
R. Con una battuta potrei dirle che 20 anni fa il lavoro non occorreva, probabilmente, neppure cercarlo. Il contesto economico, sociale e culturale era senz’altro diverso, l’economia non era globalizzata e tecnologicizzata come quella attuale e il modello più efficace era quello della micro impresa, che aveva caratterizzato il secondo boom economico localizzato specialmente nel Nord-Est italiano, dove fra l’altro opero. Posso senz’altro dirle che è cambiata molto (e sta cambiando velocemente) non solo rispetto a quell’epoca ma anche rispetto ad epoche molto più recenti. Basterà dire che, per quanto il libro sia stato scritto abbastanza velocemente, ho dovuto più volte modificare cifre e concetti per rincorrere i cambiamenti. Un dato può esemplificare questo passaggio: nel piccolo territorio dove lavoro e risiedo, all’estremo Nord del Veneto, non moltissimi anni fa (parliamo di 6-7 anni) il tasso di disoccupazione era il 3,7%, vale a dire inferiore addirittura al tasso fisiologico del 4% (per definizione quello che riguarda le persone che si iscrivevano ai centri di collocamento in attesa di trovare una nuova occupazione). Oggi i numeri parlano di cifre decuplicate, addirittura oltre il 40% per alcune categorie di lavoratori.
I numeri, però, non raccontano una realtà ancora più drammatica: quella di un modello, quelle delle PMI, che non resiste alla globalizzazione, di un’industria che non è in grado di offrire forza lavoro e, al contrario, sta pensando a una seconda fase di delocalizzazione, di interi distretti (nella mia zona quello dell’occhiale, del mobile, della sedia, della coltelleria…) in crisi profonda se non, in qualche caso, spazzati via in pochi anni.
Ma se la sua domanda è: “come sono cambiate le persone, anche nelle dimensioni implicite e nei comportamenti?” le posso dire che noto un atteggiamento fatalistico e arrendevole che a volte è frutto del disorientamento, a volte nel disinvestimento nel valore del lavoro che, a causa di passaggi politici ed economici, è (come notava Dubin ancora molti anni fa) sempre meno il veicolo per ottenere una gratificazione personale, ancora prima che economica.
Troppe persone si limitano a mandare curricula generici ed attendere una telefonata che non arriva mai, poche quelle che investono in nuovi percorsi formativi o che superano le incertezze di una nuova carriera lavorativa. In pratica, mi sembra che il mondo del lavoro sia cambiato così velocemente che le persone si trovano senza strumenti efficaci e troppo spesso si trovano a subire quella che non chiamerei più “crisi”, ma cambiamento strutturale, che ha cambiato profondamente gli atteggiamenti delle persone, prima ancora dei comportamenti. Molte persone non sono più disposte a lottare per investire nel loro futuro lavorativo, come accadeva fino alla generazione precedente, figlia o nipote del boom del dopoguerra, perché la realtà che le circonda è l’unica che conoscono, ed è una realtà che non premia l’impegno personale, che invita a “sopravvivere” perché il successo è affidato a dimensioni evanescenti (come la fortuna o ciò che fanno gli altri) che non sono predeterminabili.


D. Nella difficile fase della ricerca di un lavoro, ci troviamo spesso di fronte a richieste di personale non ben definite o a pretese esagerate tipo "segretaria laureata in economia e commercio”, “esperta di paghe e contributi”, conoscenza di due lingue straniere di cui inglese fluente, conoscenza di programmi gestionali specifici, esperienza fatturazione bollettazione... non c'è in questo caso confusione di mansioni? Richieste esagerate per la posizione?
R. Dipende dalla posizione. In linea generale, però, posso dire che spesso l’organizzazione non è in grado di descrivere efficacemente la mansione che il candidato deve ricoprire, questo è un lavoro molto complesso – che richiede competenze specifiche – e che precede il reclutamento. Prima della selezione, infatti, passiamo molto tempo in azienda per la cosiddetta “analisi della domanda”. In realtà tutte le aziende, in questo momento, sono fortemente sottodimensionate per cui si richiede alle persone di essere trasversali, perché devono agire mansioni che spesso sono ai margini, o li superano, del loro ruolo professionale.
Per questo insistiamo molto perché i candidati investano nelle competenze trasversali, quelle che già secondo Novara e Serchielli sono i veicoli più efficaci per rendersi utili in più contesti (visto che nelle organizzazioni ci sentiamo costantemente rispondere che “nessuno è indispensabile, neppure il titolare…”). Le competenze trasversali forse non consentono di trovare lavoro, ma sicuramente di mantenerlo. Se l’azienda deve ridimensionarsi, infatti (evento tutt’altro che inconsueto, oggi) più difficilmente rinuncerà ad un lavoratore che si è reso utile in più ruoli o mansioni, perché dovrebbe essere sostituito con un lavoratore altrettanto trasversale o, in alternativa, con altrettanti lavoratori competenti in ciascuna di quelle mansioni.


D. Perchè le aziende non investono nella fase di selezione del personale accontentandosi di adottare metodi non proprio professionali? Per esempio basandosi sull'esperienza del candidato…
R. Usano metodi poco professionali solo apparentemente per vincoli economici: non conoscendo le criticità del processo di reclutamento si affidano a risorse interne o allo stesso titolare, persone che generalmente fanno altri mestieri. Questo accade quasi sempre nelle PMI, ma anche se nell’immaginario il posto di lavoro ideale è nella grande impresa va detto che, in realtà, la probabilità di essere impiegati in una piccola, media o micro impresa è ben maggiore, visto la diffusione di questo modello nel territorio italiano. Nelle piccole aziende non vi sono generalmente competenze e strumenti adeguati alla criticità dei processi e non si è in grado di quantificare il danno economico di un insuccesso sul medio e breve periodo. Il lavoratore che non corrisponde alle aspettative dell’organizzazione è un lavoratore poco efficace con un contratto psicologico uguale o inferiore a quello normativo, che medita l’uscita dall’azienda e quando lo fa, la costringe ad un nuovo reclutamento, ad una nuova socializzazione, all’erogazione di nuova formazione, senza contare che le conoscenze acquisite le va poi a riportare ai concorrenti diretti... Secondo alcuni osservatori questo costa alle aziende fino al 400% del pacchetto retributivo annuo medio del lavoratore sostituito, fra costi diretti e costi indiretti.
Inoltre, il successo della selezione è proporzionale all’ampiezza del panel di candidati ma per poterlo gestire è necessario accedere a canali che le piccole imprese non conoscono e si affidano così all’amico dell’amico e, più raramente, ai c.v. presenti in azienda.
La richiesta di esperienza, poi, è uno dei tanti paradossi del mercato del lavoro, non solo nelle sue dimensioni più evidenti: si richiedono lavoratori che costano poco (giocoforza quelli più giovani) ma li si vuole esperti (che non possono certo essere i più giovani). In realtà il paradosso è ben più intrigante: dimostra l’incapacità dell’organizzazione di fare una valutazione sulla persona, cosa che richiede strumenti specifici, e predirne l’adattabilità alla mansione, dato che lei stessa non è in grado di descriverla dettagliatamente. Così si affida alla “speranza” che un’esperienza fatta in un contesto possa essere tradotta in un altro simile ma mai uguale, senza considerare che questa possibilità dipende in buona parte dalle caratteristiche personali. In altre parole, se un annuncio di reclutamento riporta: “… con esperienza di almeno X anni”, l’organizzazione sta scaricando sul candidato la responsabilità non solo di intuire di cosa l’organizzazione ha bisogno, cosa difficile dato che la stessa organizzazione la descrive solo per aspetti strumentali, ma anche di dimostrare di essere il candidato più idoneo a quella mansione.


D. Il suo Trovare lavoro e vivere per sempre felici  potrebbe essere indirizzato non solo a chi cerca ma anche a chi offre lavoro? Io consiglierei la lettura anche a chi è dall'altra parte proprio perchè c'è molta confusione… Chi cerca lavoro oggi deve essere molto preparato: per muoversi nella giungla delle offerte di lavoro, per compilare un CV efficace ed accattivante, per superare nel migliore dei modi un colloquio di selezione… ma non trova che la stessa cosa dovrebbe fare chi offre lavoro?
R. Sono d’accordo. Lo spero naturalmente ma in questo momento ho notato nelle organizzazioni una risposta alle incertezze con un ulteriore irrigidimento, un arroccamento su modelli conosciuti e ripetitivi, proprio perché conferiscono maggiori certezze, anche se non sono necessariamente i più efficaci. È una naturale risposta alla confusione e all’evanescenza delle relazioni causa-effetto, del resto ampiamente conosciuta nella letteratura del cambiamento organizzativo e trattata da autori importanti come Schein, ad esempio.
Mi rendo conto che in questo momento moltissime aziende vivono sull’orlo della marginalità, ma è anche vero che in un’epoca di terziarizzazione non investire sulle risorse umane è un errore grave, drammatico sul lungo termine. Del resto, è evidente che in questo momento i consumatori non sono attratti dalla qualità del prodotto ed il suo successo è basato su elementi legati al commercio e alla diffusione del prodotto, al marketing e alla comunicazione, insomma tutte condizioni basate sull’uomo e non sulla macchina. In pochi anni ho visto aziende che hanno invertito il rapporto addetti produttivi – addetti amministrativi, che ora sono la maggioranza. E questo è un ulteriore paradosso del mercato (nel libro è dedicato un ampio capitolo su questi aspetti) che rischia di mettere ai margini non solo le singole imprese ma l’intero apparato economico. Del resto, anche se evidentemente non sono questi gli unici motivi, i risultati sono purtroppo evidenti con la perdita costante di competitività delle nostre aziende nel mercato globale…


D. Quali errori si compiono solitamente quando si è alla ricerca di un lavoro?
lavoro1R. Errori se ne commettono molti ma non ci sono degli errori in senso assoluto: ciò che funziona in un contesto può non funzionare in un altro. Se esiste un errore comune è non aver ben compreso che la ricerca del lavoro è un vero e proprio lavoro e richiede conoscenze, capacità e investimento su sé stessi, come qualsiasi altra attività. È un po’ come avere in mano un prodotto potenzialmente vincente ma dover ideare una campagna commerciale e di comunicazione per far conoscere il prodotto, valutandone l’appetibilità sul mercato e farne conoscere l’efficacia. In pratica è necessario fare “marketing di sé stessi” senza aspettare che il mercato recepisca da solo il prodotto perché è evidente che non accade così. La visione sight-seeing non è più attuale. Il primo passo è, pertanto, essere informati sui meccanismi del mercato del lavoro, quelli peraltro ampiamente svelati nel libro, per fare scelte migliori o non commettere gravi errori: ad esempio molte persone con una formazione importante ed una carriera lavorativa potenzialmente prestigiosa inizialmente accettano lavori nel settore produttivo senza prospettiva di ulteriore crescita, magari con contratti brevi o in somministrazione, rischiando di esserne intrappolati. Mi rendo conto che a volte è necessario un principio di realtà, ma credo che valuterebbero meglio le opportunità che si presentano sapendo che nelle aziende è diffusa una credenza per cui un lavoratore non può transitare da un ruolo produttivo a un ruolo amministrativo o manageriale (e viceversa), perché le due culture sono completamente distanti. Il principio forse non è del tutto sbagliato, ma va evidentemente valutata la persona, cosa che non accade quasi mai.


D. Lei afferma che l'azienda non cerca il migliore candidato in assoluto ma quello che si avvicina meglio al “prototipo”. Ma come può chi è alla ricerca di un lavoro a capire qual è questo prototipo?
R. Questo l’aspetto forse più intrigante, a cui è stato dedicato ampio spazio nel libro. È anche un argomento che ha incuriosito molto chi ha avuto l’occasione di leggerlo perché svela probabilmente un aspetto del tutto sconosciuto. Ma la cosa è molto meno complessa di quanto sembra: del resto, tutti noi quando dobbiamo scegliere qualcosa (che sia un prodotto o il partner per la vita) abbiamo in mente un “prototipo” a cui fare riferimento. Poi stabiliamo dei criteri e decidiamo quanto allargare o restringerne i confini secondo l’importanza del singolo criterio. Ad esempio potremmo desiderare un’auto sportiva di un certo tipo ed avere un criterio molto rigido su questo aspetto (cioè, non accetteremo mai di acquistare un’utilitaria). Su criterio colore siamo disposti ad allargare di più la scelta in base alle opportunità presenti. Però, se il venditore ci propone un’offerta economica irrinunciabile possiamo anche modificare i criteri più rigidi. In pratica chi valuta il candidato ha definito dei criteri che descrivono il candidato (età, sesso, competenze, abilità…), ne ha stabilito un ordine gerarchico e l’ampiezza dei confini. Ciò che fanno i selezionatori professionisti è quello di esplicitare questi criteri e la loro ampiezza che generalmente è maggiore rispetto ai selezionatori non professionali, che non dispongono di strumenti adeguati. Bisogna tener conto che i criteri di esclusione e i loro confini sono tuttavia sempre maggiori di quelli di inclusione: chi valuta è infatti preoccupato soprattutto di non commettere il cosiddetto “errore di primo tipo” (cioè individuare falsi positivi) perché se commettesse l’errore contrario (vale a dire lasciarsi sfuggire i candidati migliori) nessuno lo noterà, come avverrebbe nel caso contrario (cioè inserire nell’organizzazione un candidato che non funziona).
Nel libro sono spiegati molti metodi, trucchi e a volte “furberie” per comprendere quale idea abbia in testa il reclutatore: uno, molto banale, che consiglio sempre, è quello di portare il c.v. a mano invece che spedirlo, oppure visitare l’azienda (anche con una scusa) prima di candidarsi. Potremo così osservare come si comportano i dipendenti, come si vestono, con che ritmi lavorano e qual è lo stile della comunicazione e delle relazioni interne ed esterne… avremo delle informazioni fondamentali sulla cultura organizzativa di cui il famoso prototipo è un componente reale e non virtuale. Le aziende sono infatti create sulla base della personale visione dell’imprenditore, spesso con una gestione familiare, ed è comunque un gruppo sociale con le sue regole per cui chi le condivide viene accolto, chi non lo fa viene inizialmente coinvolto nel processo di normalizzazione e, se questo non ha successo, alla fine viene escluso. In altre parole, già la receptionist a cui consegniamo il c.v. o chiediamo una qualsiasi informazione non è altro che la personificazione del famoso prototipo…
Del resto, senza scomodare René Girard e il suo desiderio mimetico, se ci pensiamo bene è una cosa che facciamo sempre se aspiriamo ad essere integrati in un gruppo, ma quando cerchiamo una collocazione la sottovalutiamo e ci presentiamo magari in giacca e cravatta esibendo termini forbiti mentre chi ci valuta è vestito in tuta blu, non ci stringe la mano perché la sua è sporca di grasso e comunica in dialetto!


D. Se paradossalmente il turnover si estende, esistono però molte opportunità di cui non si viene a conoscenza, perchè non pubblicizzate. Quale consiglio darebbe a chi cerca lavoro per venire a conoscenza anche di queste opportunità? E come valuta la possibilità di autocandidarsi se non si ha una rete di conoscenze tale da raggiungere le opportunità nascoste?
cercare-trovare-offrire-lavoroR. Alcuni osservatori autorevoli che ho citato nel libro, come ad esempio Giaconi, condividono l’opinione e riportano dati che dimostrano che in realtà le opportunità lavorative non sono quelle che compaiono negli annunci di pubblicazioni specializzate e generaliste o sulle vetrine delle agenzie di lavoro interinale. Nonostante l’opinione comune, infatti, le maggiori opportunità provengono dalle piccole e medio aziende (che hanno una diffusione maggiore rispetto all’industria) che sfruttano maggiormente canali informali come il passaparla. Nel libro è spiegato come intercettarlo e come sfruttare il turnover fisiologico presente in tutte le aziende, nonostante la crisi del mercato del lavoro.
Un consiglio importante è valutare le opportunità che consentono di entrare in azienda anche semplicemente per stage formativi, mansioni non necessariamente coerenti con le proprie aspettative (ma coerenti con il ruolo lavorativo), o non necessariamente gratificanti dal punto di vista economico perché comunque questo consente di avere informazioni, conoscere persone, avere sentore di opportunità, chiedere aiuto e consigli, conoscere strumenti e modalità nuove… Una cosa che l’esperienza ci ha insegnato è che è molto più difficile trovare lavoro quando il lavoro non lo si ha. Può sembrare una battuta ma nel momento in cui si entra in un’azienda, poi le opportunità magicamente si moltiplicano.


D. E in questo caso quali sono le mosse giuste da fare e quali quelle da evitare?
R. Come dicevo non ci sono mosse giuste e mosse sbagliate in assoluto. Alcune mosse possono diventarlo, come ad esempio inserire nel c.v. informazioni ambigue o poco oggettive che possono essere interpretate in modo diverso, se non opposto, da chi lo valuta secondo la sua personale visione (ad esempio la fotografia, se non è richieste, è meglio non metterla). Ciò che bisogna fare è ricercare più informazioni possibili sull’azienda in cui ci si candida per capire qual è la modalità migliore per compilare il c.v., per candidarsi e per gestire il colloquio e le prove di selezione. Talvolta basta visitare il sito Internet o chiedere informazioni agli amici del social network: difficilmente non troveremo qualcuno che conosce l’azienda, chi ci lavora o ci ha lavorato. I social sono una fonte importante di informazione se la si sa sfruttare… del resto anche le aziende e i reclutatori li utilizzano per avere informazioni sui candidati.


D. Perchè spesso dopo un colloquio positivo si interrompono i contatti?
R. Per vari motivi: a volte le aziende non hanno posizioni aperte ma si stanno creando un panel di candidati a cui attingere per gestire il naturale turnover, oppure semplicemente sono stati scelti altri candidati. Spesso, inoltre, le agenzie di lavoro interinale propongono i candidati con vere e proprie operazioni commerciali senza aver avuto un esplicito incarico da parte delle aziende. Ma un ulteriore motivo è che nonostante riusciamo a fornire un’impressione generale buona o ottima, grazie alle nostre competenze e alle nostre caratteristiche personali, in realtà il già citato prototipo è un po’ troppo distante dalla valutazione per cui è possibile venga scelto un candidato non necessariamente più competente e preparato ma, semplicemente, più coerente con gli obiettivi dell’azienda ed i criteri di inclusione del selezionatore.
Non sempre le aziende comunicano i motivi della mancata scelta e questo contribuisce a lasciare i candidati disorientati e senza risposte e soprattutto senza la possibilità di fare esperienza per candidature successive.


D. Perchè spesso dopo aver inviato i c.v. non si viene convocati oppure non si è mai convocati ad un colloquio? Quale errore si sta facendo?
curriculum vitaeR. L’errore è semplicemente aver inviato curricula generici in modo generico ad aziende scelte a caso sull’elenco telefonico senza avere idea di cosa stiano cercando quelle aziende o, addirittura, se le aziende stiano o meno cercando personale. Questa, purtroppo, è la modalità più utilizzata da chi cerca lavoro ma anche la meno efficace. Fra le centinaia di corsisti che abbiamo formato e aiutato a collocarsi non abbiamo trovato mai nessuno (salvo la classica eccezione che finisce inevitabilmente per confermare la regola) che abbia ottenuto grazie a questo un minimo risultato. L’unico garantito è quello di abbattersi e demotivarsi una volta constatato il crollo delle speranze basata su una errata interpretazione delle regole statistiche: è vero che per la legge dei grandi numeri più ampio è il campione più si approssima alla popolazione ma è importante accertarsi a quale popolazione si fa riferimento.
È
preferibile concentrare i propri sforzi ad individuare opportunità concrete, studiarle ed individuare le modalità più corrette per candidarsi e per affrontare la selezione, produrre documenti coerenti con le caratteristiche della candidatura. Nel libro è più volte riportato che non esiste un c.v. efficace: per ogni candidatura deve esserne prodotto uno coerente con l’azienda e la mansione per cui ci si propone. Nel libro sono inoltre riportati molti “trucchi” per ottenere, ad esempio, lettere di referenze e altri documenti, che hanno un peso importante nella scelta del candidato.


D. Le dinamiche di una intervista di selezione sono tante come fare per dare la risposta giusta?
R. Anche in questo caso il consiglio è che non esistono risposte giuste o sbagliate in assoluto. Nel libro abbiamo dato ampio spazio a questo argomento così come facciamo nei training, in cui insegniamo ad affrontare i colloqui e le altre prove di selezione come ad esempio i focus-group. Il colloquio di selezione è solo una parte del processo di reclutamento ed inserimento lavorativo che non si ferma una volta entrati in azienda e firmato un contratto. Perciò, come anticipato, ogni opportunità va studiata e condotta nel modo coerente con le caratteristiche della candidatura. Importante, ad esempio, sapere in anticipo (e nel libro viene spiegato come farlo) se il selezionatore sarà un professionista o no, le caratteristiche del decisore, le sue aspettative e le modalità con cui è condotto il colloquio e prepararsi ad alcune domande standard conoscendone il significato e l’obiettivo che spesso è tutt’altro rispetto a quello più intuibile. Le cose cambiano molto in base a chi condurrà l’intervista: il selezionatore professionista non farà mai domande dirette, un colloquio condotto con il titolare dell’aziende sarà basato soprattutto su aspetti tecnici. Poiché solo raramente abbiamo a che fare con reclutatori competenti, abbiamo descritto le situazioni più comuni in categorie che fanno riferimento alle esperienze dirette che riguardano la nostra professione e le narrazioni dei corsisti: dal titolare egocentrico che per un’ora parlerà solo lui concedendo al candidato al massimo di annuire all’impiegato che rivolgerà le solite domande standard come “dove si vede lei fra 10 anni?” senza avere idea di cosa questa voglia e possa effettivamente indagare. Oppure il futuro datore di lavoro super-indaffarato o iper-controllante (che cerca sostanzialmente un clone di sé stesso), quello che si sente minacciato da persone più preparate di lui o quello gentile e disponibile ma che in realtà sta cercando un candidato su criteri che non esistono, o almeno non sono contemporaneamente presenti nello stesso candidato… Sono tutte situazioni che sicuramente chi ha affrontato colloqui di selezione ha incontrato ma difficilmente ha gli strumenti per decifrare. Le categorie riportate nel libro, in realtà, descrivono debolezze e punti critici di chi gestisce il colloquio di selezione, che se sono ben comprese possono essere aggirate a vantaggio di chi si candida.


D. Come fare ad esempio per descrivere noi stessi e conoscere i nostri punti di forza e di debolezza?
R. Avere la reale consapevolezza delle proprie caratteristiche professionali e umane è una necessità che va oltre riuscire a rispondere efficacemente ad alcune domande che vengono poste durante l’intervista. Poiché, come anticipato, il successo si realizza nel favorevole matching fra domanda e offerta, come è importante conoscere approfonditamente a chi proponiamo la nostra candidatura è altrettanto importante conoscere ciò che offriamo, cioè noi stessi. La cosa non è scontata perché non è facile disporre di meta-conoscenze oggettive e reali per una serie di motivi che vanno da meccanismi di difesa intra-psichici allo scontro fra aspettative personali e quelle familiari o la difficoltà di dare un peso reale a competenze e abilità. In realtà è un passo fondamentale non solo se si desidera ottenere un’occupazione ma soprattutto per ottenere un’occupazione soddisfacente, due aspetti che secondo il nostro punto di vista sono imprescindibili perché se non si realizzano entrambe prima o poi il lavoratore si ritroverà nello stato di disoccupazione o di sofferenza.
Esistono vari strumenti come il bilancio delle competenze e l’orientamento professionale, che richiedono personale competente e modalità maieutiche per individuare le opportunità più coerenti con il profilo professionale e personale e le modalità per sfruttarle in aree specifiche di mercato. Nel libro abbiamo descritto alcuni strumenti, alcuni di nostra realizzazione, per consentire ai candidati di auto-descriversi in maniera più realistica possibile, prendendo spunto da vari ambiti (anche quello clinico psicologico) proprio per consentire risultati importanti e realistici.


D. Quali sono i metodi più efficaci per superare l'emozione dell'impatto con il valutatore e quindi vincere l'ansia da colloquio?
colloquio-lavoroR. Anche a questo aspetto abbiamo dato risalto perché a volte un’eccessiva reazione ansiogena finisce per impedire al candidato di dimostrare le sue qualità. Al di là della reattività personale, va detto che essere valutati non piace a nessuno, soprattutto nella nostra cultura latino-mediterranea, un po’ edonistica ed eco-centrista. Il valutatore professionale lo sa bene e cerca di mettere a suo agio il candidato perché non è interessato a conoscerlo in preda ai sintomi di una crisi acuta da stress ma come agirebbe nella quotidianità. Non sempre questo accade e spesso il candidato finisce per offrire di sé un’impressione di incertezza. Nessuno affiderebbe un qualsiasi ruolo lavorativo ad una persona incerta e in situazione di ampia disponibilità di candidature il selezionatore non avrebbe interesse ad approfondire caratteristiche personali in quel momento celate dall’agitazione e l’incongruenza fra canali comunicativi: non viene pagato per farlo e cerca sempre di evitare di commettere errori di inclusione. Per questo motivo illustriamo vari strumenti prelevati da differenti modelli per riuscire ad affrontare il colloquio in modo efficace.
Un aspetto interessante, però, è che se c’è il rischio di affrontare il colloquio in modo ansiogeno esiste anche il problema contrario: troppo spesso si presentano candidati tutt’altro che coinvolti e forniscono l’impressione di essere persino disinteressati. Alcuni probabilmente fanno molti colloqui senza avere mai risultati positivi e, secondo il mio parere, si è creato una sorta di “professionista dell’intervista”, che risponde in maniera quasi automatica e presenta comportamenti stereotipati quasi come fosse un attore all’ennesima rappresentazione.


D. Una volta entrati in azienda come fare per mantenere il posto di lavoro ed essere sempre "indispensabili"?
R. Questo è un aspetto a cui teniamo molto, che rappresenta uno degli argomenti più importanti e innovativi del libro. Notiamo che troppo spesso i candidati, una volta ottenuto un contratto di lavoro, si adagiano sulla credenza di “avercela fatta”. In realtà oggi è molto più difficile mantenerlo, il lavoro, piuttosto che ottenerlo. Raramente infatti abbiamo a che fare con persone che non hanno mai lavorato: al contrario la situazione più frequente è di persone, anche relativamente giovani, con molte esperienze lavorative, tutte piuttosto brevi. Non è possibile sintetizzare qui le condizioni di mercato (principalmente di ordine economico) che favoriscono questa situazione ma ci sono anche motivazioni che riguardano certamente la capacità delle persone di gestire la propria carriera.
Abbiamo studiato a fondo le dinamiche della socializzazione lavorativa e delle modalità con cui le persone possono riuscire a rimanere nell’organizzazione anche dopo la naturale scadenza dei contratti. Non riusciranno probabilmente a rendersi indispensabili, anche perché (come detto) nelle organizzazioni è diffusa la credenza che nessuno lo possa diventare. Ma è possibile rendersi utili in più contesti, più mansioni, in ruoli trasversali investendo su competenze non necessariamente legate al ruolo professionale. Abbiamo collocato persone che, nell’ambito amministrativo, avevano ricevuto competenze (anche di tipo legale o di comunicazione persuasiva) sul recupero del credito o cassieri che, in località turistiche, riuscivano a colloquiare in lingue straniere oppure magazzinieri che, in caso di assenza di un collega, potevano sostituirlo estendendo la mansione di bollettazione a quella di fatturazione. Non è sufficiente disporre di queste competenze ma anche cogliere tutte le occasioni per dimostrare di possederle.
È un aspetto fondamentale: in questi giorni, ad esempio, abbiamo ricevuto la notizia che un’azienda nel settore grande distribuzione organizzata che seguiamo sta automatizzando le casse e sta quindi licenziando cassiere esperte che nella loro vita lavorativa avevano fatto solo quello, e null’altro sapevano fare, mentre ha confermato i contratti di risorse che abbiamo inserito e che sono in grado di transitare per tutti i ruoli della GDO, dalla cassa alla scaffalatura, dal magazzino all’amministrazione, avendo ricevuto competenze anche nell’ambito del visual mercandising, dello stoccaggio delle merci deperibili, della contabilità e anche in lingue straniere… è un esempio sintomatico del funzionamento attuale del mercato del lavoro e di come devono essere gestite le opportunità, non tanto di ottenere un’occupazione, quanto di conservarla.


D. Se invece il lavoro non è per sempre? Come incoraggiare chi, soprattutto in età avanzata, perde il posto di lavoro, a non perdere la speranza di trovarne un altro? Quali sono le mosse giuste per rientrare nel mondo del lavoro?
R. Oggi è evidente che il modello del “lavoro per sempre” è sostituito da forme di lavoro più incerte e mutevoli. Nella generazione precedente era raro cambiare occupazione e ancora di più iniziare una nuova carriera lavorativa in età matura. Oggi è la regola: per qualcuno può rappresentare un’opportunità, per qualcun altro una costrizione. Ma la realtà è che il mercato attuale non garantisce affatto ottenere un’occupazione che poi porterà alla quiescenza. A chi ha il lavoro consigliamo sempre di avere un piano B (se non C) nel cassetto, magari sviluppando competenze e abilità particolari o valutando di trasformare in opportunità di reddito conoscenze extra lavoro ed evitare di agire in condizioni di emergenza. Quotidianamente sui giornali si legge infatti di aziende, anche di grandi dimensioni e apparentemente solide, che si ridimensionano, chiudono o delocalizzano. Questo ha come conseguenza che troppo spesso lavoratori maturi o intere famiglie perdono il posto di lavoro e faticano a rientrarvi. Anche se non si può negare che alcune categorie di lavoratori sono particolarmente svantaggiate, non esistono situazioni senza speranza. Ciascuno di noi ha qualcosa da offrire e che può garantire un’occupazione: i lavoratori più giovani oneri economici più vantaggiosi, quelli meno giovani competenze ed esperienze. è necessario operare con consapevolezza valutando le opportunità coerenti con le proprie caratteristiche ed individuare le modalità migliori per candidarsi, proporsi e gestire il processo di selezione e la socializzazione successiva, ma soprattutto agire sul mercato in modo attivo e non passivo (in altre parole, cercando e creando le opportunità, non attendendo che queste trovino noi).
A volte, come dicevo, è necessario creare nuove carriere lavorative, fornendo nuove competenze e abilità poiché quelle precedenti non sono più spendibili nel mercato del lavoro. è un operazione complessa, soprattutto perché non sempre le persone sono entusiaste di questo passaggio. Anzi, solitamente antepongono comprensibili paure e resistenze. Talvolta è necessario far prendere loro consapevolezza che questa trasformazione è necessaria. Anche le organizzazioni pubbliche del lavoro condividono questa visione e stanno spingendo molto sullo start-up di nuove aziende, come alternativa al modello assistenzialista.
In conclusione del libro sono riportate alcune storie di persone che hanno compiuto questo passaggio con il nostro aiuto. Fra questi ricordo con maggior piacere quello di Tiziano (il nome non è reale) che a causa di un trasferimento non riusciva più a spendere nella nuova zona di residenza le sue competenze, molto elevate e specialistiche. Durante la fase di bilancio di competenze è emersa la sua passione per l’apicoltura e subito abbiamo intuito che questa poteva diventare la sua futura occupazione, visto che non poteva più essere un ingegnere esperto di controllo qualità. Non è stato un percorso facile soprattutto perché Tiziano non voleva deludere le aspettative della sua famiglia, ma oggi Tiziano ha un’azienda che produce e commercializza miele, è soddisfatto della qualità della sua vita ed ha ormai raggiunto un buon livello economico. Non ha rinunciato a fare l’ingegnere ma siamo sicuramente riusciti a trasformare un ingegnere infelice in un apicoltore felice!


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