Perché ha deciso di scrivere Scegliere il cambiamento, quando ha preso questa decisione?
La psicologa presso la quale ero in terapia, mi faceva tenere un diario degli eventi, delle emozioni, delle riflessioni personali, delle scelte che m’invitava a fare, dei miei sogni: sia quelli a occhi aperti che quelli notturni. Io che amo scrivere, riempivo pagine e pagine del mio quadernino. Così un giorno le ho detto: “Io qui sto praticamente scrivendo un libro”. Lei mi ha risposto: “Perché no?”. Ricordo a memoria le parole con cui mi ha convinta da subito: “Se te la senti… Mi rendo conto che ti sto chiedendo tanto, ma sono sicura che potrai aiutare tante persone che hanno il tuo problema. C’è molta letteratura sulle dipendenze e in particolare sugli alcolisti, ma i loro familiari vivono nel silenzio e nella vergogna. Provaci”.
Ho cominciato a pensarci già in metropolitana mentre tornavo a casa.
Gli autori hanno raccolto attraverso brevi racconti, delle storie che tratteggiano stralci di vita ed esperienza di persone con sofferenza mentale, la finalità di questo libro è infatti anche quella di descrivere alcune sfaccettature della malattia mentale, attraverso lo strumento della narrazione, ma non è esclusivamente questo. Non delle asettiche "storie cliniche" per addetti ai lavori ma vicende concepite con l’immaginazione e la creatività senza tuttavia tralasciare gli spunti tratti dall’osservazione effettuata durante il lavoro sul campo.
Con lo strumento del racconto hanno voluto ricostruire le possibili esperienze di vita delle persone affette da sofferenza mentale grave, dei suoi familiari e degli operatori che in prima linea condividono con questi ultimi percorsi di fatica, di sofferenza e spesso di ostinata determinazione. Parallelamente hanno voluto far affiorare alcuni lineamenti della malattia mentale così come può manifestarsi agli occhi della società.
In Racconti schizofenici, eventi e situazioni, stati d’animo ed emozioni danno vita a vicende personali dove il lettore potrà cogliere alcuni aspetti della patologia, da diverse prospettive, potendo così riflettere sulla diversità e sulla complessità della malattia e sulla variegata costellazione dei disturbi ad essa correlati.
Ogni storia narrata ha caratteristiche e peculiarità proprie, ma hanno tutte come denominatore comune lo scompiglio non solo della vita familiare, lavorativa e sociale del paziente, ma sempre più spesso anche quella degli operatori socio-sanitari coinvolti nel percorso riabilitativo.
Come si legge nella introduzione di Alberto Santoru (Psicologo, Psicoterapeuta): in questi brevi racconti si colgono delle prospettive esperienziali: i familiari, gli operatori, raramente i pazienti, perché il loro vissuto è inesprimibile per l’osservatore. E questo approccio “fotografico”, dove la scelta dell’angolatura appare dichiarata, è il contrario della mistificazione, della supponenza del letterato e lascia al lettore la possibilità di ricevere una impressione assolutamente personale.
Gli autori manifestano la loro capacità umana e professionale nella sensibilità che mostrano nel cogliere soprattutto le atmosfere, gli sfondi, i particolari apparentemente insignificanti, in grado di trasmettere il loro vissuto della “malattia”.
Alle volte non riescono a nascondere di essere parte della fotografia e neppure, probabilmente, lo vorrebbero. [...]
Gli autori, forti dell’esperienza “sul campo”, a contatto quotidiano con la realtà delle persone con sofferenza mentale e con le loro famiglie, fuori dagli ambulatori o da privilegiate oasi di osservazione, manifestano tutta la drammaticità dell’impatto con
una problematica complessa che richiede risposte articolate che coinvolgano servizi psichiatrici, familiari, utenti, associazioni, agenzie sociali e richiedono politiche sociosanitarie che riconoscano la caratteristica multifattoriale dei disturbi mentali.
Questo libro non è un manuale diagnostico e non può essere utilizzato in tal senso, ma nell’intenzione degli autori vuole rappresentare uno strumento e un modesto tentativo per il superamento del pregiudizio.
Acquista direttamente il volume su PSYCHOSTORE.NET
Emmanuella Ameruoso è psicologa e psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico, specialista in psicologia clinica, sessuologia e psicologia forense, già giudice onorario del Tribunale di Sorveglianza di Bari.
È didatta in corsi di formazione clinica e sessuologica in ambito pubblico e privato e collabora con diversi portali web come consulente sessuologo ed editor.
La sua esperienza include la collaborazione professionale con vari consultori nei progetti di educazione alla salute, con associazioni private in qualità di tutore e supervisore di studenti universitari e in attività di sostegno psicologico e cura dell’individuo, della coppia e dell’età dello sviluppo.
Ha svolto per diversi anni il ruolo di Consulente Psicologo presso la Commissione Speciale in materia d’Infanzia e di Minori del Senato della Repubblica e nel settore dell’Adozione nazionale presso la Asl di Roma.
È autrice di diverse pubblicazioni in ambito sessuologico e criminologico e attualmente svolge attività di consulente tecnico di parte in ambito civile e penale e lavora come libero professionista a Roma e Bari.
Incontriamo la Dott.ssa Ameruoso prima della pausa estiva, per analizzare meglio i contenuti di Desiderare la genitorialità.
Parliamo della difficoltà a concepire riscontrata in molte coppie, non legata a patologie identificabili e della possibilità di valutare in questi casi un disturbo dell’infertilità psicogena.
D. Perché scrivere questo volume?
R. L’idea di questo libro nasce da una curiosità sorta durante il percorso di studi universitario. Si parlava in maniera abbastanza sporadica dell’infertilità relativa al partner cosa che mi spinse ad approfondirne le cause. Nello specifico, se due partner di una coppia non riuscivano ad avere figli dopo almeno due anni di tentativi falliti si separavano, costituendo un nuovo nucleo familiare, la gravidanza si realizzava. Un po’ come avviene per le coppie che dopo un’adozione riescono ad avere un figlio naturalmente!
Era quindi evidente che proprio la relazione fosse disfunzionale e che la difficoltà a concepire non fosse legata a condizioni mediche identificabili ma a qualcosa che la scienza empirica ha approfondito marginalmente.
L’argomento mi interessò molto e da lì cominciai ad analizzare la tematica in maniera più specifica attraverso la raccolta di materiale bibliografico ed esperienze di coppie che, invece, avendo inseguito la genitorialità con metodi naturali e poi con la PMA, hanno optato per l’adozione. I coniugi intervistati presentavano problematiche d’infertilità primaria e/o secondaria.
D. Quali novità propone?
R. La possibilità di valutare il disturbo dell’infertilità psicogena considerando il nesso di causalità tra la collusione intra relazionale e l’incapacità a procreare permette di intervenire sui fattori predisponenti fornendo alle coppie un nuovo modo di percepire se stessi e il rapporto, contenitore nel quale è riversato, comunque, inconsciamente un insieme di fattori legati alla propria storia personale e al vissuto genitoriale.
D. Perché nel libro lei afferma che l'esordio della genitorialità avviene
nel periodo adolescenziale?
R. Lo sviluppo sessuale e la maturità psico-cognitiva caratteristici del periodo dell’adolescenza permettono ai ragazzi di acquisire una consapevolezza rispetto alla propria capacità generativa. È facile che essi utilizzino la propria sessualità e il proprio corpo per attivare il processo di differenziazione e di autonomia rispetto alle figure genitoriali e, per questo, molte ragazze “desiderano una gravidanza” poiché ciò permetterebbe loro di “trionfare” sulla figura materna vissuta come rivale, affermando la propria individualità e la propria femminilità. Inoltre, è in tale processo di crescita che emerge la fantasia degli adolescenti sulla “opportunità” di divenire genitori e dalla quale scaturiscono le paure, le difficoltà e le rappresentazioni mentali rispetto a questo evento. La conquista e la scoperta della sessualità li proiettano verso una dimensione adulta, anche se non hanno portato a termine il processo evolutivo.
D. L'adolescenza rappresenta un periodo di definizione della propria
identità: è sempre stato così? È dappertutto così?
R. Più che di definizione parlerei di ri-definizione della propria identità poiché nuove trasformazioni sul piano della personalità tendono a integrarsi a quelle già acquisite. In linea di massima ogni collettività attribuisce all’adolescenza delle proprie peculiarità. In occidente, ma già notiamo una notevole differenza tra il nord e il sud dell’Europa, è considerato un periodo “critico” poiché di passaggio e questo dipende soprattutto dall’ambiente in cui si vive. Molto spesso gli adolescenti sono messi in crisi semplicemente dalla cultura di appartenenza perché la crescita è comunque un percorso naturale. Infatti, in alcune realtà sociali attuali (e remote) l’accesso all’età adulta è (ed è stato) lineare e per certi versi repentino, per cui i ragazzi lo vivono con più disinvoltura.
D. Quando si parla di crisi in età adolescenziale, a cosa ci si riferisce?
Quali conseguenze può avere in futuro?
R. La crisi adolescenziale ha diverse sfaccettature. Per alcuni questa dimensione non è vissuta in modo critico o disagevole mentre per altri il processo di separazione-individuazione dalle figure genitoriali, le modificazioni corporee, il confronto con i coetanei rappresenta un momento particolare e il malessere è una conseguenza quasi immediata. Gli aspetti prevalenti di tale percorso sono connessi alla dimensione fisiologica ma anche, e soprattutto, psicologica. È in tale momento che l’adolescente comincia a conoscersi più a fondo e a vivere una situazione più specifica rispetto all’affermazione della propria identità. Soggetti con contesti problematici e difficoltosi, esperienze traumatiche e una maggiore sensibilità in merito a tali cambiamenti possono vivere il momento con diversa intensità. E tali condizionamenti tendono a interferire con la crescita e inevitabilmente con l’aspetto genitoriale e procreativo.
D. Ci sono delle cause specifiche che collegano l’esperienza adolescenziale al disturbo dell’infertilità?
R. Sì. Nel testo approfondisco proprio quest’aspetto cercando di analizzare le esperienze che influenzano la formazione del disturbo: un vissuto legato alla prima esperienza sessuale, una storia familiare traumatica che ha riguardato la nascita o la morte di un bambino (parto traumatico, violenze sessuali, un aborto spontaneo, un’interruzione di gravidanza o una fantasia familiare tramandata tra donne di diversa generazione) possono essere fattori prodromici alla manifestazione dell’IP.
L’identificazione col proprio genere sessuale, cui aderisce la capacità generativa, e l’assunzione di un ruolo, tramite cui si esplica la propria genitorialità, che riaffiorano e si rendono manifesti specificamente in adolescenza, possono essere compromessi da tali fattori e sfociare nel disturbo.
D. Cosa s’intende per collusione?
R. La collusione è un patto inconscio che si realizza tra due partner portatori di una propria storia personale. Ognuno affida all’altro parti di sé che non accetta e di cui vorrebbe “disfarsi”. È così che il compagno diventa un “complice” accettando questo “reciproco accordo” e per certi versi disfunzionale.
D. Quali sono gli aspetti collusivi della coppia?
R. Dicks parla proprio di “incastro inconscio” cioè, per usare una metafora, due pezzi dello stesso puzzle che s’intersecano perfettamente e che manifestano di conseguenza un disturbo di cui entrambi gli elementi sono portatori. La collusione si rende palese a livello del genere e del ruolo sessuale nei quali gli adulti s’identificano e pertanto è in essi che va ricercata la causa dell’impedimento alla procreazione.
D. Sono numerose le coppie nelle quali si riscontra un'origine
psicologica dell'infertilità?
R. Sì, sono innumerevoli e molte delle quali ricorrono alla fecondazione assistita o all’adozione per realizzare il desiderio di avere un figlio. La componente psicologica ha una rilevanza apprezzabile nella generatività poiché determina a livello fisiologico delle modificazioni ormonali che inducono un’inibizione della fecondità.
D. Come s’individua questo tipo di problema quando si analizzano le cause dell'infertilità?
R. Innanzitutto si esclude l’origine di tipo organica e poi, attraverso un’anamnesi specifica rivolta a ogni singolo partner e una serie di colloqui mirati ad indagare le possibili cause di matrice psicologica (e/o traumatica) si identifica l’origine del emotivo e quindi l’insorgere del sintomo.
D. Come s’interviene?
R. La terapia psicosessuologica permette di intervenire sulle aree deficitarie e conflittuali che ostacolano, o ancor peggio inibiscono, la procreazione.
Lavorando sulle dinamiche inconsce interne alla coppia, basate prevalentemente su una proiezione reciproca di esperienze e vissuti singolari, si ristrutturano i rapporti con e tra le figure di riferimento interiorizzate (la propria relazione con i genitori, il rapporto tra i due genitori, l’identificazione di sé nel ruolo genitoriale) che riversate inconsapevolmente sul partner, tendono a generare la collusione. Inoltre, si sostengono i soggetti nella rielaborazione del lutto conseguente alla diagnosi d’infertilità, di eventuali esperienze traumatiche pregresse, anche riferite al periodo dell’adolescenza, agendo inevitabilmente sulla capacità procreativa e sulla genitorialità entrambe legate, come più volte sottolineato, all’identità e al ruolo di genere.
Il tentativo dell’opera è quindi quello di voler fornire un’ottica interpretativa più ampia delle cause che sono all’origine dell’infertilità non rese esplicite e chiare dalle diagnosi mediche. Offrire una nuova speranza alle coppie per poter coronare il desiderio di essere genitore non è altro che la possibile conclusione di un ciclo naturale di vita a cui tutti, o la maggior parte, aspirano!
Acquista direttamente il volume su PSYCHOSTORE.NET
Rachele Magro è psicologa-psicoterapeuta ed è Presidente ASPIC- Sede territoriale di Viterbo dal 2009. Impegnata dal 2004 nel campo dell’emergenza in vari progetti di formazione, prevenzione e sostegno psicologico rivolti alla popolazione e alle varie figure professionali.
Ha attivato dal 2004 al 2006 un progetto come psicologa volontaria in un Reggimento Operativo svolgendo attività di supporto psicologico ai militari impiegati all’estero e alle loro famiglie, proseguita in seguito con il lavoro clinico nell’attività privata a supporto degli operatori dell’emergenze. Autrice del libro “Cuore di Soldato” – Edizioni Psiconline.
Il libro raccoglie storie di donne che hanno scelto di condividere la propria vita accanto a uomini in divisa e di figlie che invece la vita militare l’hanno conosciuta nel corso della loro esistenza.
Si tratta di una serie di testimonianze raccolte dall’Associazione L’Altra Metà della Divisa e poi rielaborate ed inserite da Rachele Magro in una cornice che ne inquadra e analizza in modo professionale la psicologia e la capacità di reazione agli eventi imprevisti, racconti personali rilasciati da mogli e compagne – c’è anche una figlia – di militari di ogni grado e forza armata.
Storie profonde che molto spesso evocano più che descrivere, nel pudore prima umano che d’ordinanza, e che lasciano cogliere una quotidianità complessa e complicata dalle regole della vita militare.
Rappresenta un’iniziativa all’interno del progetto dell’Altra metà della Divisa, associazione no profit nata per iniziativa di donne, compagne di militari, consapevoli dell’indispensabilità di una rete di supporto, allo scopo di condividere esperienze e difficoltà, sensibilizzare e sostenere le famiglie militari.
D. Vogliamo iniziare questa intervista con una domanda fortemente provocatoria:
il libro racconta storie di famiglie militari, viste dall'interno, perché dovrebbero interessarci?
R. Perché queste famiglie rappresentano uno spaccato di italianità che stiamo perdendo, perché dobbiamo riprovare ad amare il nostro Paese che questi uomini in divisa e le loro famiglie con i loro sacrifici raffigurano. Nella città dove abito io c'è almeno un uomo o una donna in divisa in molte famiglie: è giusto e doveroso riconoscere a questi uomini e donne il valore e comprenderne le fatiche, i disagi e le sofferenze ma anche le capacità di risollevarsi e di rimboccarsi le maniche quando la situazione lo richiede, per costruire una rete di supporto sempre più efficace.
D. Le storie raccontate nel volume sono davvero interessanti e illustrano dal di dentro la vita delle coppie che hanno scelto di condividere una avventura come quella militare. Quale motivazione spinge queste donne a raccontare il proprio vissuto?
R. La scelta di raccontarsi è nata dall'iniziativa di alcune donne interne all'Associazione L'Altra Metà della Divisa pensando che condividendo esperienze e vissuti non solo permettevano ad altri di conoscere un mondo spesso invisibile, ma soprattutto aiutavano le altre famiglie a riconoscersi e a non sentirsi sole nei momenti di difficoltà. L'intento è far conoscere al mondo militare e alle famiglie che c'è qualcuno che si sta attrezzando per dare risposte e che insieme si può fare di più e meglio. L'Associazione in questi due anni ha aiutato tantissime famiglie.
D. Come curatrice del volume ti sei trovata ad ascoltare storie che potevano essere più o meno coinvolgenti perché scegliere quelle pubblicate?
R. Le storie arrivate sono state davvero tante. Alcune donne invece le conoscevo, ne avevo seguito le vicende e insieme all'Associazione le abbiamo aiutate a trovare nuove e più funzionali soluzioni, a volte abbiamo solo cercato di essere presenti, in ascolto, a sostegno. Ho scelto così di costruire un percorso rispetto alle tematiche più importanti e comuni che in questi 10 anni di attività in questo campo accanto alle famiglie militari e agli uomini e donne in divisa, avevo affrontato. Sono tematiche piene di significato per questo tipo di vita e soprattutto accumunavano più vissuti. Il senso era quello di far emergere i punti di forza, la capacità di far fronte agli eventi critici di queste mogli e madri, la loro resilienza per costruire una nuova ottica "di possibilita'", di nuove occasioni; quasi come guardare la parte del bicchiere mezzo pieno. "Se ce l'hanno fatta loro posso farlo anche io!"
D. In una raccolta come questa si è portati a pensare che tutto si concluda con il lieto fine. Come mai hai scelto di raccontare anche storie che si concludono in modo problematico?
R. Purtroppo la vita è fatta anche di cadute, di muri difficili da scavalcare, di momenti di crisi che sembrano infiniti. Qualcuno non ce l'ha fatta a trovare la rete di supporto giusta per procedere verso il benessere. Io li chiamo "maladattamenti". In questi casi, che purtroppo ce ne sono tanti, è necessario fare di più, trovare altre strade, altre alleanze e non sempre è facile. Alcune donne non siamo riuscite ad aiutarle, e dobbiamo fare anche i conti con la nostra frustrazione e il senso di colpa di operatori della relazione d'aiuto.
La storia di Catia, ad esempio, è quella che più mi è rimasta nel cuore, ma invece che cestinarla ho scelto di darle voce. Ne ho sentito l'obbligo.
D. Non ci sono storie di donne militari è una scelta precisa o è una casualità?
R. È una casualità e in parte una conseguenza del fatto che la parte più attiva dell'Associazione è fatta di donne che la divisa non la indossano, ma se ne prendono cura in altro modo. Sono la parte più forte di questo sistema ma hanno anche bisogno di un luogo dove potersi riposare un po' e pensare che qualcuno possa farsi recipiente di ansie e preoccupazioni per permettere al loro uomo in divisa di lavorare serenamente. Il motto è: una famiglia felice fa un soldato sereno.
D. Da quello che emerge nel libro, il mondo militare è decisamente complesso e sfaccettato. Ci può essere spazio per la diversità?
R. Il mondo militare è pieno di diversità, di uomini e donne che provengono da ogni parte d'Italia, ognuno che porta con se la sua storia, i suoi valori e i suoi riferimenti. È al contempo un mondo rigido e strutturato nella modalità e nelle funzioni e fa molta fatica, a mio parere, ad interfacciare Istituzioni e famiglie, anche il rapporto tra mondo militare e civile è ad oggi complicato.
Noi vorremmo andare oltre.
D. Anche in questo caso l'associazionismo fornisce la via di compensazione alle angosce individuali quanto può essere considerato in effetti utile?
R. Direi fondamentale. Ricevo tantissime email a settimana da parte di famiglie che si rivolgono a noi: è un canale aperto, accessibile e sempre disponibile.
L'Associazione in questo campo è fondamentale ma bisognerebbe attivare più canali di dialogo e confronto affinché le famiglie si sentano più riconosciute.
È un luogo dove puoi darti una mano reciprocamente senza sentirsi isolata e poi trovi sempre qualcuna che può dirti "ti capisco, ci sono passata anche io, ma vedrai che troviamo insieme una nuova strada".
Acquista direttamente il volume su PSYCHOSTORE.NET
Sabato 22 e domenica 23 febbraio siamo stati per la prima volta al BUK FESTIVAL di Modena con i nostri libri e con i nostri autori per cercare ancora una volta un contatto diretto con il nostro pubblico di lettori e di amici che costantemente ci seguono nella nostra avventura editoriale e nel nostro tentativo continuo di crescere e diventare un punto di riferimento nel panorama della editoria di qualità italiana.
Ci avevano decisamente magnificato le possibilità offerte dal BUK FESTIVAL ma siamo rimasti sorpresi positivamente sia dalla quantità che dalla qualità dei visitatori che hanno affollato durante i due giorni le immense sale del Foro Boario di Modena. Oltre 20 mila visitatori in soli due giorni, 101 case editrici della piccole e media editoria, e noi eravamo lì, Edizioni Psiconline era allo STAND 30 con gli appassionati Marisa ed Alessandro a fare da guida ai curiosi lettori e agli autori che in tanti si sono affollati intorno al tavolo carico di volumi.
Due giornate intense a contatto con i nostri lettori affezionati in cerca di novità, ma anche i visitatori incuriositi dalla presenza dei nostri autori allo stand.
I visitatori non si sono lasciati sfuggire la fantastica occasione di conoscere di persona gli autori che hanno assicurato la loro presenza al nostro stand per parlare dei loro libri, rispondere alle loro domande e soprattutto firmare le copie acquistate.
Il FIRMALIBRO di Edizioni Psiconline ha attirato moltissimi curiosi che hanno affollato lo STAND attratti dalla simpatia e dal calore dei nostri gentilissimi autori: Matteo D'Angelo, Leonardo Angelini, Vincenza Sollazzo, Eleonora Capitani, Luca Paolo Libanora, Enrico Magni, che li hanno accolti e parlato amabilmente con loro.
È stato poi difficile resistere al fascino del nostro STAND ricco di sorprese e novità, e delle nostre presentazioni al salone Il Signor Novecento.
Sabato mattina Matteo D'Angelo e Roberta Sorrentino con "La stella alpina e la farfalla. I riflessi dell'anima".
Introdotto da Alessandro Fortunato, collaboratore di Edzioni Psiconline. È la storia di Marianna e del suo confronto con gli altri e con se stessa. Molti sono i temi affrontati: la provocazione verso l’ universo femminile, le relazioni di genere e intragenere, la ricerca dell’io e il tema dell’ uno e del tutto, che è appunto il filo conduttore dell’ intero scritto. L’autore vuole lanciare un messaggio, aprire una riflessione, lasciare un sentiero di semini che il lettore può decidere se seguire o meno.
Il pubblico ha raccolto questo messaggio e si è lasciato trasportare dalla scorrevolezza della prosa, dalle frasi semplici ma pregnanti. Ha partecipato con interesse, intervenendo spesso con domande interessanti alle quali l'autore ha risposto con altrettanto calore e considerazione.
.